Negli ultimi trentanni i dispositivi digitali si sono diffusi a livello globale in modo rapido e capillare. Ogni giorno in Italia trascorriamo mediamente 6 ore al giorno su Internet, abitudine alla quale concorre senza dubbio la compagnia dell’amico\nemico smartphone. È soprattutto per mezzo del nostro telefonino, infatti, che possiamo accedere alla rete 24 ore su 24, 7 giorni su 7, in qualunque luogo o situazione ci troviamo.
Certamente l’avvento e l’incremento delle nuove tecnologie ha comportato notevoli vantaggi e semplificazioni nella nostra vita quotidiana. Ricordo i miei viaggi soprattutto all’estero in gioventù, quando cartina stradale alla mano mi perdevo in territori sconosciuti e persino la lingua non era dalla mia, quando si trattava di chiedere informazioni agli autoctoni. Ora non mi perdo più, perché il navigatore satellitare sul telefonino, mi porta quasi sempre a destinazione. Eppure smarrirmi nel mondo a volte, mi ha permesso di incontrare persone, luoghi e situazioni speciali che non avrei avuto modo di conoscere altrimenti. Di arricchirmi della cordialità e dello spirito di accoglienza di persone che per caso fortuito incrociavano il mio percorso. Di scoprire in me insolite capacità di problem solving. Non so voi, ma dalle applicazioni dello smartphone non ho questo tipo di riscontro, anche se certamente risulta un mezzo più efficiente per l’orientamento. Inoltre anche in Rete a volte possiamo perderci, navigando verso e attraverso tutti i mondi possibili che in un batter di ciglia sono alla nostra portata, che però possono allontanarci progressivamente dal nostro di mondo, quello più prossimo in cui giornalmente viviamo. E perché ci perdiamo? Perché a mancarci molte volte è proprio il contatto con le persone, la relazione vissuta, la fiducia e la soddisfazione di realizzare progetti nel mondo là fuori e\o è talmente forte il timore o la fatica di trovarsi faccia a faccia con l’altro, che il mezzo tecnologico rappresenta per noi la giusta distanza di sicurezza per mostrare noi stessi o per avere accesso almeno in parte a soddisfazioni che altrimenti ci sarebbero precluse. Da un lato ci sentiamo più al sicuro, dall’altro rischiamo di rimanere isolati ed intrappolati dai nostri muri virtuali che però divengono sempre più tangibili e difficili da abbattere.
Come nel caso delle dipendenze da relazioni virtuali, che si manifesta nel bisogno pressante di mantenere contatti e relazioni sul web. La rete infatti consente di esplorare diverse identità, sperimentare aspetti della propria personalità con un libertà maggiore di mettersi a nudo da un lato e dall’altra contenere l’ansia sociale e le difficoltà di interazione delle esperienze offline (Lavenia 2018). Non dimentichiamo che, a prescindere dalle nuove tecnologie l’identità è un fatto sociale; si costruisce nell’interazione con l’altro, nel riconoscimento dai parte dei nostri genitori prima, degli insegnanti, del nostro mondo sociale e lavorativo poi. Chi siamo ce lo dicono gli altri. Cercare gli altri in rete perciò è un bisogno legittimo, a cui però, nonostante lo strumento apparentemente facilitante, può non giungere la risposta tanto attesa di reale confronto ed incontro o anche di scontro costruttivo. Possiamo non ottenere quella risposta, che ci restituisca un’immagine di noi stessi definita, ma non omologata, perché le voci sono troppe e diffuse e perché i media contribuiscono ad appiattire la dimensione dell’Altro, uniformando pensieri ed opinioni attorno al soggetto stesso che si approccia alla rete.
Per semplificare, avrete notato che sulla home page di Facebook leggiamo le notizie relative ai soliti pochi contatti, nonostante la nostra mole spropositata di amici sul Social o come magicamente appaiano inserzioni pubblicitarie relative a qualcosa che guarda caso ci interessa, anche se non avevamo ancora fatto una vera e propria ricerca del prodotto o del servizio in questione. Il mondo delle rete si materializza attorno a noi, cercando di indovinare da un lato e plasmare dall’altro, le nostre esigenze e i nostri interessi di consumatori di prodotti e servizi. “E qui si torna a quel radicale solipsismo, tipico della nostra cultura, per cui, malgrado l’impressione di potersi relazionare con chiunque al mondo, in realtà ci si relaziona solo con se stessi, e per giunta a livelli impressionanti di superficialità (Galimberti, 2018).
Nella ricerca di nuove possibilità, tra cui quelle di relazionarci, incontrarci, ottenere riconoscimento e riscontro, il mezzo può prendere il sopravvento sui fini, peraltro mai pienamente raggiunti, tanto da rendere vani i tentativi di controllare o ridurre il tempo che vi dedichiamo, generando problemi nella nostra realtà sociale e familiare, che via via non siamo più in grado di gestire. Che fare per ri-orientarci, riprendere in mano la bussola?
Tentiamo di coltivare la vita di relazione e affettiva con reali frequentazioni che ci consentano di ampliare le nostre competenze sul campo. Riconduciamo costantemente ciò che attiviamo in Rete alla vita concreta, cosicché il “virtuale” divenga un amplificatore della vita reale e non un sostituto (Nardone 2018). Educhiamo bambini e ragazzi a fare queste cose, ad entrare in contatto e a confrontarsi con l’altro, ad ampliare le proprie competenze emotive e relazionali nel mondo reale; invitiamoli a parlare delle loro esperienze virtuali, facendo domande per conoscere come passino il proprio tempo in rete così da capire più loro; facciamo diventare un’abitudine quella di creare ponti con vissuti ed esperienze della quotidianità. Poniamo anche ed indubbiamente dei limiti per creare una relazione con la tecnologia sostenibile.
Bibliografia
Galimberti U. (2018), “Il mondo delle relazioni", Psicologia Contemporanea n°268, 24-25, Giunti Psychometrics, Firenze
Lavenia G. (2018), “Le dipendenze tecnologiche”, Giunti, Firenze
Nardone G. (2018), “Relazioni o identità perdute”, Psicologia Contemporanea n°268, 56-57, Giunti Psychometrics, Firenze
Scrivi commento